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novella lxxxi. 171

qui? Dappoichè ci siete voi, rispose la femmina. Fuori di qua, gaglioffo, escimi di casa, gridò il marito, rivolto di nuovo allo specchio; ch’egli si vorrebbe ora darmi ad intendere che tu non fossi tu, ma io, perchè la cosa paresse legittimo matrimonio. Ma veggo io bene che tu se’ tu e non io, perch’io non mi farei quel mal viso che tu mi fai, nè mi guarderei con quegli occhi stralunati, nè con quella collera con cui tu mi guardi. E così dicendo, acceso di rabbia, prende un bastone e croscia a braccia aperte, tanto che lo specchio cadde in tritura, e il forestiere se ne andò a’ fatti suoi. E se non era che la fatica durata gli avea sì tolto le forze, che fu tratto in terra dal peso del bastone e dormì sullo smalto fino alla mattina, tal era il sospetto entratogli in capo della moglie, ch’egli avrebbe fatto a lei come allo specchio.

Se il vino non avesse occupato il cervello, egli avrebbe potuto intendere che quello era uno specchio; ed ecco terminata ogni cosa. Ma quando l’uomo si è fondato sopra un principio falso, il suo ragionare dietro a quello, benchè sia falso, può parere diritto. La moglie è sola in casa, è tardi, ci trovo un uomo non conosciuto, che non mi risponde, non si scusa, va in collera meco; qual conseguenza se ne ha da trarre? L’ebbro ha ragione; il male sta nello specchio. Così avviene di tutti gli altri sospetti. E a un dipresso, chi esaminasse la verità delle cose, troverebbe che il principio è specchio, cioè vanità e apparenza. Ma intanto questa disamina ci lascia indietro, si dice male, chi ode noi non disode, e prima che il buon cristiano, il quale viene incolpato, mostri qual sia la verità, passano gli anni. Io dico all’incontro del proverbio che suol dire: La bugia ha corte le gambe. A me pare che la zoppa sia la verità, e che l’altra corra come un cane da lepri, e che l’abbia anche fiato da correre lungo tempo.