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114 novella lxv.

ne lo ringraziò, e gli disse che per bontà di lui si era fatto molto onore. Ognuno sa che a questi dì noi siamo stati come le anitre, sempre coperti da un diluvio di pioggia. Il padrone chiese dunque il suo mantello, e postolosi indosso, senti l’orlo di sotto a battersi poco più giù che le cosce, laddove prima gli solea picchiare le polpe. Che sarrocchino è questo, grida, da andare in pellegrinaggio? che diavol sarà? Non si ricordava più delle nozze. In fine gli venne in mente; ma non fu a tempo di sgridare il gondoliere, il quale pochi giorni prima, trovate certe sue cagioni, gli avea chiesto licenza e avea scambiato padrone.

LXV.


Il Dente posticcio.


Io ho soprattutto stizza contro certuni, i quali quando hanno incominciato un ragionamento, non pensano mai a toccarne la fine. Mille volte tu credi che siano per chiudere, e ritrovano tanti appicchi, viottoli, aggiramenti, e tante fila gittano, e ora a questo, ora a quello si appigliano, che il fatto loro è una morte a starli ad udire. In tutto l'anno presente io sono uscito un giorno solo di Venezia due dì fa, e mi sono abbattuto a uno di questi tali che m’empiè il capo di tante parole, che fui vicino a stordire, e tuttavia il termine mi riuscì per caso da ridere e giocoso. È questi un certo valentuomo che passa oltre a’ quarant’anni, ed afferma ne ha trentadue appena; e perchè non so quale calamità passata gli abbia fatti uscire qua e colà dalle gengie da forse sei denti, ne ha comperi altrettanti da un artefice, e tiengli in bocca per suoi fino al tempo dell’andare a letto, e allora gli ripone sull’armario in uno scatolino nella bambagia. Tiensi pel miglior dicitore di questo secolo, e principalmente per cacciatore come Atteone, e sempre va con l’archibugio in ispalla, e quando ritorna a casa, racconta i più mirabili accidenti che fossero mai di