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novella lix. 103

teria quanto un cantambanco. Dice il ladroncello: Mandami il marito di vostra signoria con queste paste, e dice che mi dia il suo vestito nuovo, avendogli il sarto promesso di racconciarglielo subito. Dov’è egli mio marito? risponde la padrona. — È alla bottega mia, che mi attende. Stava la padrona fra il sì e il no di quello che dovesse fare; ma la fanticella volpe, fattasi all’orecchio di lei, le disse: Padrona mia, quel ceffo non mi garba, e ha scolpito non so che da forche: oltre di che il mondo è pieno di tristi, e vi dee ricordare di colui che portò la carne per rubare il mantello (e volea dire di un fatto che si legge nella gazzetta n. L.). Apre gli occhi la padrona, e dice: Io non so che vestito tu mi dica; il marito mio ne ha parecchi; se lo vuole, venga egli e dica, ch’io non saprei ben quale. Il ladroncello più si riscalda ad inventare circostanze e più si avviluppa e scopre, e finalmente non sapendo che altro dire, per non lasciarvi almeno del suo pelo, soggiunge: Signora mia, io debbo aver fallato la casa, e però mi favorisca la cestella e le paste, ch’io ne le riporti a bottega. Questi son fatti di cucina e unti, dice la fanticella: io so che il padron mio l’ha ordinate e pagate, e tu non hai punto errato l’uscio rispetto a queste, ma l’errore sta nel vestito: oh, va. Il ladroncello che non sapea più che rispondere, pensò pel minor male di andarsene, e borbottando certe parole fra’ denti in difesa della sua intatta puntualità, scese le scale con animo di rifarsi sopra qualche borsa o mantello altrui della spesa perduta.


LIX.


L’Uomo bisbetico.


I cervelli de’ mariti sono talvolta sì lunatici e strani, ch’io non so qual consiglio si potesse dare alle loro mogli perchè si vivessero in pace con essi. Io non dico che anche fra quelle non si trovino alcune