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novella lv. 95

fa per via tutto solo, e levando di tempo in tempo gli occhi, si abbattè a vedere ad una finestra una femminetta di quelle che tendono i panioni e il vischio a chi passa, la quale, notato il giovane essere allora uscito del guscio e novellino, pensò di coglierlo alla uccellaja, e, se le venisse fatto, di mandarnelo spennacchiato. Per la qual cosa mentre che egli passava, e con la coda dell’occhio, per non mostrare temerità, guardava alla finestra, ella con grato sorriso chinò il capo e lo salutò cortesemente. Il giovane che, secondo l’usanza sua, vedendola ben vestita, la stimò donna di alto affare, chinò il capo quasi fino alle ginocchia e passò oltre senz’altro dire; ma, fatti alcuni pochi passi, volse il capo indietro pur per sapere s’egli l’avesse veduta più, o altrove mai conosciuta. L’uccellatrice, accorgendosi all’atto sempre più della buona intenzione del tordo, finse che nel volergli far atto con mano, le venisse dato d’urto in un guanto e in un fazzoletto che avea sulla finestra, e a terra ne li gittò, allungando il collo in fretta e guardando dietro ad essi con dispiacere. Il giovane, maestro di creanze e rispettoso con le femmine, corse a fiaccacollo, e ricolto di terra il fazzoletto ed il guanto, alzò le mani con un certo giocondo riso di contentezza e le mostrò, giubilando senza parlare, che ne l’avea servita e che volentieri avrebbe egli medesimo salite le scale. Al che ella mostrandosi grandemente obbligata, e che le spiacesse il suo disagio, fingendo prima di voler mandare giù i servi suoi, e finalmente consentendo, tirò la funicella dello saliscendi e andò a capo della scala per fare una grata accoglienza a lui che già faceva a due a due gli scaglioni per essere più sollecito a servirla. Molti furono i ringraziamenti e le squisite parole dall’una parte e dall’altra; e già il giovane prendeva licenza per partirsi, quando ella ne lo pregò che almeno tanto si arrestasse seco, che si prendessero un caffè in compagnia. Al che avendo il giovane assentito, non senza rimorso, parendogli di far male a sturbarla, la signora chiamò a sè una