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e lì il signor giudice, — un fior di giudice, dalle cui unghie non era mai uscito alcuno salvo; ma insieme una brava persona, pieno di pazienza e piacevolone, che diceva barzelette fin nel condannare alla morte. Il signor giudice, come dicevo, prima lo esortò colle buone a dir la verità; poi, vedendo che negava, ordinò, — Tiratelo su».

Nel suo seggiolone, appoggiato il gomito al tavolino e il mento alla mano, stava egli osservandolo, e con tutta pazienza aspettando che confessasse; ma quegli duro. Allora il signor giudice: — Ehi, dategli un pajo di strappatine». L’altro pianse, strillò, invocò il Signore, la Madonna, san Giuseppe; ma tenne saldo.

Al vederlo così ostinato sarebbe montata la stizza anche al santo Giobbe: ma il signor giudice, colla solita calma, vôlto al manigoldo e facendogli d’occhio gli disse:

— Ebbene, com’è così, calatelo giù».

L’aguzzino, che capì il segno, calò l’accusato tanto vicino al pavimento, che lo rasentava colla punta dei piedi. L’uomo, che erasi sentito resuscitare da morte a vita in ascoltare quell’ordine, vedendosi ora così presso terra, che, un poco più che si allungasse, la toccherebbe, per raggiungerla stiravasi da sè medesimo di tutta forza, e così per la speranza di finirli, accresceva nel più orribile modo i suoi tormenti.

A vederlo sgambettare, il manigoldo schiattava dalle risa: l’istesso signor giudice turava la bocca, perchè non gli scappassero: in fin che l’altro, non potendo resistere a quel nuovo spasimo, domandò per amore, per misericordia, che lo calassero affatto, e avrebbe detto ogni cosa.