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E appunto nella speranza di qualche agevole conquista, di qualche pruriginosa avventura da spassarne poi i maligni crocchi alle garrule sere dell’inverno milanese, trasse un bel giorno alla chiesa di San Lorenzo per assistere alla Festa dei canestri.

Avete inteso mai discorrere della Festa dei canestri? Oh, la è cosa tanto semplice! E poi, foss’ella un costume della Scozia o della Turena, l’avreste letto in Walter Scott o in Balzac: qui da noi nè gli scrittori descrivono, nè i curiosi osservano le cose nostre; s’ha altro a fare che scendere alle minuzie della vita reale: e vuolsi dover guardare ogni cosa col telescopio: — eccellente metodo di raggiungere la verità!

Per dirvelo dunque in due parole, è consueto a’ paesi intorno al lago di Como, che, un certo giorno d’ogni anno, offra, chiunque può, alcuna cosa alla Madonna o al santo patrono: le quali offerte poi vengono vendute all’incanto, a pro della chiesa. Festeggiavasi appunto un tal giorno, quando il signor Ernesto arrivò a quel paesello, nell’ora che le donne s’avviavano al tempio. Tutte allindate, qual d’esse recava un panierino, donde agrumi e pesche diffondeano freschissima fragranza; quale una ancor tiepida focaccia; questa una fiala del più buono: quest’altra un cero tutto screziato; e chi un fazzoletto, chi una chioccia colle uova, chi un par di tortorelle, ma ogni cosa galante di nastri, di fiori, di nappe, di tutto quel più vezzoso che ognuno sapeva poteva. Ernesto, fermo in sul sagrato, occhieggiava la bellezza ingenuamente vivace delle forosette e sorrideva entro sè delle occhiate che, in passando lanciavano, come si fa, qual su questo,