Pagina:Novelle lombarde.djvu/194

182

Sonna, addio Menica, addio memoria di questi luoghi, di questi tempi». E piangevo. Ma egli che non faceva, che non diceva per consolarmi? Protestava che, dato sesto a’ negozj suoi di casa, avrebbe subito narrato la cosa a suo padre, e sarebbe tornato a prendermi, menata al suo villaggio; un bel villaggio, una bella casa, e tante felicità, che a solamente udirle mi rideva tutto il cuore.

Venne pure il dì che ci dovemmo lasciare. Signor forastiere, non ha ella amato mai? non s’è mai diviso di chi gli voleva bene? Pensi il mio dolore. Mommolo mi condusse dinanzi al cimitero, là appunto ove lei mi ha incontrata oggi; e volle che quivi, davanti alla croce, giurassimo a vicenda di non isposarci mai a verun altro. Io, lo sa Dio, giurai di cuore sincero; ed egli pure, sventurato! — ma giuravamo l’amore sopra alle fosse. Che sinistri augurj!

E se n’andò. Correva allora il maggio; passa il giugno, passa il luglio e l’agosto; vien l’autunno, torna l’inverno, e Mommolo non torna. Ah come sono lunghi, eterni i giorni di chi aspetta! Quanto io stessi sconsolata, lo pensi. Averne nuove era impossibile, perchè, chi capita mai su queste cime? e fino al suo paese non c’è quattro passi. Qualche volta io m’abbandonava, e dicevo, — Egli non si ricorda nemmen più di me». Allora piangevo come disperata: poi — No (mi diceva il cuore) è troppo buono; non può averti piantata. Chi sa? qualche disgrazia gli sarà occorsa.» E qui colla fantasia andavo figurandomi tutto quel mai di peggio che possa ad alcuno arrivare. Intanto mi struggevo, sospiravo spesso; e mio padre se ne accorgeva, e mi do-