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conto interrotto, non senza lacrime, di casi semplici, quali sogliono nella semplice vita d’una montanara, ma dove ella mise tanto di pietà, che l’ho pure voluto scrivere così alla buona, e solo per quelli che abbiano dalla sventura appreso a compatire gli sventurati.

— Ella ha dunque a sapere (cominciò la Menica) che, quando c’era ancora Napoleone, qui per queste valli si erano attruppati molti giovinotti che non volevano andar soldato, e preferivano di stare su per su e stentare la vita, piuttosto che marciare in paesi lontani a morire certamente, per ammazzare povera gente che non conoscevamo nemmanco. Li chiamavamo i Briganti; li chiamavano così noi, ma guai chi l’avesse detto loro in faccia! Erano chi sa quanti, e del male non si può dire ne facessero; ma, si sa, dovevano vivere: onde andavano qua e là da chi n’aveva, a buscare o cibi o denari; alloggio ne trovavano sempre, che tutti, o compassione o timore, si facevano premura di tenerseli buoni».

Non m’erano cose nuove quelle che la Menica mi raccontava, avendo ben io presente, quasi fosse jeri, come questi giovinotti contumaci, sottrattisi alla dura legge della coscrizione, si fossero congregati nella valle San Martino e nelle vicine, a vita di insidie e di pericolo, protetti dalla posizione e dalla debolezza d’un Governo, il cui gigantesco potere, artifiziale tutto perchè non fondato sull’amore, andava sfasciandosi di fronte ai sagrifizj del patriotismo spagnuolo e del despotismo russo. Mi ricordava assai d’aver veduto quelle bande venire sulle sponde