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rante esultanza del presente, e nulla più in là. Il silenzio, dio de’ fortunati, copre le mutue delizie, a cui li conduce il cantar dell’usignolo, da cui li diparte il pigolio dell’allodoletta. — Deh cedesse più tosto il sole l’imperio del cielo alla mite stella della sera! Deh l’aurora indorasse più tardi le vette dell’Albenza! Domani, amor mio, per quanto bene mi vuoi, torna più presto domani».


IV


E al domani, come appena intese la barchetta fender le onde e soffermarsi, Ermellina scendeva e tra via rassettandosi le biondissime chiome sulla fronte e la stola sul petto, che, prelibando le delizie, saliva e scendeva più ansioso che mai. Apre lo sportello — ma che? Invece della morbida destra dell’amante, qual è questa che tanto aspra l’afferra? Invece del velluto della cilestre casacca, ha toccato una ferrea armatura; invece delle piume cascanti con vezzo dal roseo tôcco sulle fiorite guance di Tibaldo, fissa una negra celata; e attraverso la bruna visiera ha riconosciuto Oldrado.

Il quale ghermitala, senza far motto la trae nel battello, e batte la voga. Essa, la costernata, assisa tacente in su la prora, non osava levare gli occhi sull’oltraggiato: e prima li teneva colle supine palme velati; poi, quasi cercando una consolazione in quell’universale abbandono, li girava intorno. Era una di quelle limpide sere, in cui tanto è soave solcare l’increspato zaffiro delle onde, soli con una sola che c’intenda e ci risponda. — Ma per Ermellina! La luna, dalla piena faccia versando