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In questo mentre il giudice aveva mandato ad arrestare in tutta fretta il nuovo imputato; il quale, come fu giunto, ed ebbe subìta una buona stretta ai malleoli, fu presto ridotto a confessare, come, contro la volontà della donna e ad insaputa di lei, con un malefico filtro la forzò alle sue voglie, e così l’indusse a darsi la morte.

Disse pure esser vero, che, inconsideratamente, egli le pose in seno il gruzzolo d’argento che fu trovato, e che egli aveva già da lei ricevuto in dono. Infine disse che il suo desiderio era di sottoporsi volonterosamente alla pena che il suo delitto meritava; delitto, nel quale Ko-sin non era per nulla implicato.

Udite queste confessioni, restò a Pao-kung di pronunziar la sentenza, la quale fu del seguente tenore:

«Dopo maturo esame siamo venuti in chiaro che:

Yen Hoa-hiuen, dimentico affatto d’appartenere alla sacra famiglia dei Sacerdoti del Tao, lasciossi conturbare la mente dalle sfrenate concupiscenze dei sensi, cosicchè le sue passioni divennero veementi come l’onde del mare in tempesta. E volto ogni pensiero al sesso che pone suo studio sol nei piumati adornamenti e nelle seriche vesti, solo sognava, nel suo segreto, i favori e le grazie di coteste consumatrici di roseo belletto.

Ultimamente, per servigi religiosi da lui prestati, ricevè un’adeguata ricompensa, e fu congedato. Ora mentre costui con parole ringraziava la donatrice, e diceva di voler tornare il primo al convento, istigato dal demone della voluttà, salì nell’appartamento delle donne per commettere la più bassa e vile azione. Con un veleno di magica potenza asperse il corpo della vedova: ed ella, vittima dell’incantesimo, come avrebbe potuto mantenersi nella sua parità? Addormentata voluttuosamente tra i fiori, soggiacque al destino della donna. Così tanta virtù fu perduta!

Gl’incestuosi e i carnali, come oserebbero alzar la fronte al venerando del cielo? I figli della colpa, come potrebbero sfuggire alla prigione infernale? — Mossa da questi pensieri,