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l’estetica e la morale 193


lotta dell’eroe col destino, la vittoria dell’ordine morale del mondo o la purificazione degli affetti per mezzo della tragedia, di caratterizzarle, dico, come il cómpito specificamente tragico. Pertanto questa loro infaticabile ostinatezza m’induce a pensare, che essi in generale siano uomini refrattari alle sensazioni estetiche, e che forse, quando ascoltano la tragedia, bisogna considerarli unicamente come esseri morali. Non mai, fin dai tempi di Aristotele, è stata data dell’effetto tragico una spiegazione desunta da stati d’animo artistici, ricavata dall’attitudine estetica dell’ascoltatore. Ora la compassione e la paura devono essere spinte a un sollievo di liberazione dalle più fosche peripezie, ora dobbiamo sentirci elevati e edificati dalla vittoria dei buoni e nobili principii, dall’immolazione dell’eroe fatta nel senso di una concezione morale del mondo; onde, come io credo di certo, che per moltissimi uomini è proprio questo e unicamente questo l’effetto della tragedia, così credo conseguirne chiaro e lampante, che tutti costoro, insieme con gli esteti loro interpetri, non abbiano compreso nulla della tragedia, riguardata nella vera sua essenza di somma arte. Quel sollievo patologico, la catarsi di Aristotele, che i filologi non sanno bene se bisogni annoverarla tra i fenomeni fisiologici o tra i fenomeni morali, mi riporta alla mente un notevole presagio di Goethe. «Non mi è mai riuscito senza un vivo interesse patologico», egli dice, «di elaborare una situazione tragica, e perciò ho