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la musica e il tragico 143


e dove mai troveremo cotesta espressione, se non nella tragedia e in generale nel concetto del tragico?

Il tragico, rettamente, non si può punto dedurlo dall’essenza dell’arte, quale è comunemente concepita secondo la sola categoria dell’apparenza e della bellezza: la gioia dell’annullamento dell’individuo noi la intendiamo solo quando venga ricavata dallo spirito della musica. Giacché solamente i singoli esempi di tale annullamento ci mostrano chiaro l’eterno fenomeno dell’arte dionisiaca, la quale conferisce l’espressione alla volontà, nella sua onnipotenza; volontà, che al disotto, per così dire, del principium individuationis, lavora alla eternità della vita di là da ogni fenomeno e nonostante ogni annullamento. La gioia metafisica del tragico è un trasferimento della sapienza dionisiaca istintivamente inconscia nel linguaggio dell’immagine: l’eroe, la manifestazione suprema della volontà, è annientato pel nostro diletto, perché esso non è altro che un fenomeno, e la eterna vita della volontà non viene punto toccata dal suo annientamento. «Noi crediamo all’eternità della vita», proclama la tragedia, mentre la musica è l’idea immediata di cotesta vita. Invece l’arte plastica ha uno scopo affatto diverso: qui Apollo supera il dolore dell’individuo con la luminosa glorificazione della eternità dell’apparenza; qui la bellezza trionfa del dolore insito nella vita; qui il dolore viene, in un certo seuso, espulso dal sembiante della natura. Nell’arte dionisiaca e nella sua simbolica