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la conoscenza tragica 133


conoscenza socratica e sente che questa per cerchi sempre più ampi cerca di abbracciare l’intero rnoudo dei fenomeni, non avverte tra gli stimoli che lo attaccano all’esistenza nessuno più forte della brama di compiere la conquista, e tessere impenetrabile e infrangibile la rete della cognizione. Allora il Socrate platonico a un uomo in tale disposizione di animo appare come il maestro di una forma affatto nuova di «serenità greca» e di eudemonia; forma che cerca di effondersi nell’azione, e trova questa effusione quasi tutta negli effetti maieutici ed educativi esercitati su nobili giovani, al fine di suscitare il genio.

Così, spronata dalla sua potente illusione, la scienza corre verso i propri confini, dove naufraga il suo ottimismo nascosto nell’essenza della logica. Giacché la periferia del cerchio della scienza consta d’infiniti punti; e nel momento stesso in cui non è dato vedere come mai il cerchio possa essere interamente misurato, pure l’uomo di nobile animo e ingegno, prima ancora di essere giunto a mezzo della sua esistenza, incontra inevitabilmente siffatti punti terminali della periferia, dove si arresta nello sgomento dell’inesplicabile. Qui, a suo sbigottimento, come vedo che la logica si ravvolge su sé stessa e infine si morde la coda, gli si erge davanti la forma nuova della conoscenza, la conoscenza tragica, la quale, per venire semplicemente sopportata, abbisogna dell’arte come usbergo e rimedio.