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128 capitolo quindicesimo


rovello contro quel popoluzzo arrogante, che osò di qualificare «barbarica» per tutti i tempi qualunque cosa non fosse stata fatta a casa lorochi sono costoro, tutti si domandavano, costoro i quali ebbero non più che uno splendore storico puramente efimero, non più che istituzioni risibilmente locali e circoscritte, non più che una dubbia bontà di costumi, e anzi sono insigni poivizi turpi, e ciò nonostante si arrogano tra i popoli la dignità e il privilegio, che tra le moltitudini competono al genio? Purtroppo, non si aveva la fortuna di trovare la tazza di cicuta, con cui un popolo così fatto fosse semplicemente levato di tra i piedi; giacché qualunque veleno, che l’invidia e la calunnia e il livore alimentano in seno, non arrivava ad annientare quella magnificenza contenta di sé, sufficiente. E così davanti ai greci si provava vergogna e paura: bisogna dunque che uno stimi la verità al disopra di tutto e quindi osi confessare anche a sé stesso questa verità: che i greci hanno nelle mani, come guidatori di cocchi, la nostra e qualunque civiltà; ma quasi sempre cocchi e cavalli sono di qualità troppo scadente, impari alla gloria dei guidatori, i quali d’altronde tengono per burla cacciare siffatti equipaggi nel precipizio: essi le scavalcano alla brava, col salto di Achille.

A dimostrare che spetta anche a Socrate la dignità di cotesto grado direttivo, basta riconoscere nella sua persona il tipo di una mentalità non mai esistita prima di lui, il tipo, cioè, dell’uomo teoretico: il nostro cómpito immediato ora è di