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23] il Re mezzo briaco bisognò che lo portassino a letto di peso e lì e' s'addormentò come un maiale. Quando la Caterina lo vedde appioppato per bene, che nemmanco le cannonate l'arebbano scommosso, lei lo fece mettere sur una poltrona e con delle stanghe e' volse che quattr'omini glielo menassero a casa di su' pa' e lo lassassero lì solo con lei. Lei pure si spogliò e gli nentrò accanto in nel letto; ma lui nun si bucicò punto in tutta la notte e russava che pareva un mantrice. A giorno il Re si sveglia, e gli pareva di avere un letto dimolto duro sotto il corpo e delle lenzola rustiche. Apre gli occhi, guarda, e il tetto della cammera gli toccava quasimente la testa. Si scionna allora, e rivoltandosi vedde accanto a sé la Caterina: - Ohé! nun t'avevo detto, che tu ritornassi a casa tua? Che lavoro è questo? Di chi è questa brutta cammera e questo lettuccio da poveri? Dice la Caterina: - L'ubbidienza, Maestà, i' l'ho fatta. Questa è la mi' casa e lei è nel mi' letto. Ma siccome i' potevo portar con meco la cosa che nel palazzo avessi più cara e fussi di mi' piacimento, e siccome la cosa che mi garba più 'gli è la su' persona, accosì i' ho volsuto che me lo menassero qui con meco. Il Re si mettiede a ridere a queste parole e abbracciò la Caterina; sicché feciano le paci e ritornorno al palazzo; addove, se son vivi sempre, ci saranno tavìa. Andate dunque a vedere.