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NOVELLA XII


  • Bell'-e-fatta

(Raccontata da Ferdinando Giovannini sarto)


C'erano nel mondo du' campagnoli braccianti, e uno di loro s'ammogliò, e doppo sposato passò del tempo che nun poteva mai avere figlioli e gli pareva d'essere disperato. Stevan dunque dispiacenti lui e la moglie, e ugni sera s'arraccomandavano con l'orazioni, ché Dio gli dessi almanco un figliolo; e la preghiera viense finalmente disaudita, perché la donna s'accorse che era gravida; e vienuta a' nove mesi, lei partorì una bellissima bambina; ma nun sapevano i su' genitori che nome mettergli. Dice il padre: - Che si sta noi a almanaccare? Il nome gli vien di suo. È tanto bella e ben fatta, che il su' proprio nome nun pol essere altro che questo: Bell'-e-fatta. E accosì si trovorno d'accordo e al battesimo gli diedano il nome di Bell'-e-fatta. Bell'-e-fatta cresceva a vista d'occhio, e quando fu grandina il babbo la faceva secondo le su' facoltà ammaestrare, e gli viense imparato anco a tessere il nastro in sul telaio: infrattanto lei arrivò all'età di vent'anni e propio 'gli era una bellezza maravigliosa, e sopra una mana ci aveva un neo. A questa su' età a Bell'-e-fatta gli s'ammalò il babbo, sicché lui in un mumento sentette che doveva morire addirittura; chiama dunque al capezzale del letto la figliola e gli dice: - Bada, cara la mi' figliola, i' me ne vo all'altro mondo, e delle ricchezze nun te ne lasso, perché i' nun n'ho. Ti lasso soltanto un ricordo; ma vale più di tutte quante le ricchezze; e se tu nun lo trascuri, [90]