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una serva 43


miracoloso, dalla sua schietta umiltà di servente. Le sue grosse mani incallite dalla granata, tagliuzzate dalla soda e dall’acqua bollente, ebbero, nel rimover l’ammalata, nel ravviar le lenzuola, nel disporre i guanciali, nell’offrire i medicamenti, una soavità, una leggerezza di tocco, immateriali.

Gelosa di suore e d’infermiere estranee, la volle guarir lei, la sua signora. E questa guarì; ma rimase come un fiore affidato alle cure di Anin, come una bambina alla quale ella rincalzava le coltri del letto, la sera, mormorando: — Buona notte, madamin — con la stessa infinita tenerezza che scalda il cuore delle madri.

Invecchiando, divenne quasi calva; nè volle mai saperne di parrucca. La sua testa nuda, di un giallo oleoso, solo coperta alla meglio sulla nuca da uno striminzito mazzocchio di capelli grigiastri, s’era fatta più grottesca che mai, nelle guance giallognole, fiorite di bitorzoli, negli occhietti obliqui, sfavillanti di gaia cordialità, nel naso camuso, gonfio per le libazioni — giacchè un difetto doveva pure averlo, povera Anin!... ed era di amare il vino: mai però fino all’ubria-