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310 il denaro


La sera seguente, a pena tornata dall’ufficio (dove era comparsa con una faccia di dissotterrata e aveva compiuto il suo lavoro con l’impassibilità meccanica d’un automa) Veronetta, senza quasi concedersi il tempo d’ingoiare un boccone, ricopiò molti fogli del manoscritto, li mise in una busta e vi unì una lettera. Scrisse, sulla busta, il nome di un celebre critico, direttore della più diffusa rivista letteraria di Milano. Portò il plico alla posta, il mattino; ed attese.

La lezione di Paolo Màspero aveva portato il suo frutto.

Tre settimane, lunghe più di tre anni, tardò la risposta a giungere; ma giunse, quando già Veronetta ne stava perdendo la speranza. Il critico — uomo probo, di sana coscienza, di largo intelletto, di fiuto infallibile, che nell’arte dei giovani amava ed esaltava le generose forze dinamiche — s’era, senz’altro, avveduto che quella giovanissima era qualcuno: aveva intravisto tutto l’oro che si poteva estrarre da quella ganga.