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296 il denaro


pre Veronetta a sè, per aiuto, nei giorni della distribuzione delle paghe. Dio, quei sacchetti, quei sacchetti a decine, a centinaia, bianchi, pesanti!... E quei visi allo sportello, d’uomini, di donne, di ragazzi, tutti simili nell’espressione d’avidità bruta e soddisfatta, quando il sacchetto spariva nella mano stretta ad uncino!...

Mongilardi era un simulacro d’uomo, giallo come una fiala di bioplastina, con capelli e baffi di capecchio, e le orecchie ad ansa: così magro, che le giunture dei gomiti e delle ginocchia gli foravan le maniche e i pantaloni. Prigioniero tra la cassaforte di ferro e lo scrittoio di quercia che lo nascondeva, costantemente curvo su libri mastri, fatture, reclami, biglietti di banca, si poteva ben chiamare l’uomo-cifra per eccellenza.

Non avrebbe sbagliato un totale d’un millesimo, neppure dormendo, neppure in punto di morte.

La cura meticolosa con cui contava e ricontava il denaro, preparava e disponeva le buste e i sacchettini delle paghe, quali tesori preziosissimi che soli al mondo valessero la pena d’esser custoditi, era ogni volta un nuovo,