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232 una volontaria


casa, la mia padrona. L’onestà sopra ogni cosa. Io sono una donna d’onore.

Sorrise, aggiustandosi la veletta, stirandosi i guanti sulle dita, col più sicuro sorriso che abbia mai dischiuse più sanguigne labbra, ombreggiate di bruna peluria. Sembrava molto soddisfatta di sè. Il saluto di commiato che rivolse a donna Marcella fu quasi confidenziale; fu il saluto d’un’amica che abbia l’aria di dire: C’intendiamo.

Donna Marcella sapeva benissimo che non sarebbe tornata più.

Un’ora dopo, la signora se ne stava ancor rannicchiata nella sua poltrona, in un angolo del salottino. Aveva raccolte le mani sul grembo, chiuse le palpebre e appoggiata la testa alla spalliera.

Dormiva, forse.

Privo dell’astrale trasparenza degli occhi, il viso pallidissimo, rilassato, inciso da crudeli rughe di pena sotto le orbite e agli angoli della bocca, pareva di una creatura che fosse morta volendo morire, per togliersi ad un’intollera-