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Zia Severina

La zia Severina entrò nella sua camera, spingendo l’uscio col piede perchè tutte e due le mani erano occupate a reggere il candeliere e i doni avuti. Il fratello le aveva regalato un abito di lana color caffè e latte, facendolo seguire dal commento «tinta solida e seria, adattata alla tua età». La cognata un lumino da notte, e le bimbe, a scuola, le avevano lavorato un copripiedi. Tutto in occasione del suo compleanno.

Ma posando gli oggetti sul tavolino della sua camera, il volto della zia Severina non sembrava atteggiato a letizia, al contrario vi stava sopra un velo così denso di impenetrabilità, che giustificava in parte le parole pronunziate aspramente dalla cognata, quando ella era uscita dal salottino: «Per quanto si faccia, quella Severina non è mai contenta!».

Un biglietto le era scivolato dalle mani, ricevuto anche quello in occasione del suo compleanno. Veniva da un’amica d’infanzia, carissima, e recava su fondo di carta verdina una farfalla che volava in alto, col motto: Adhuc spero. A tergo, mille auguri di felicità.

Severina raccolse il biglietto e lo stette a

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