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— Lilia! — ripetè Ippolito a voce alta per udire il suono di quelle sillabe così leggiadramente aggruppate — e gli parve un suono dolcissimo, morbido come una brezza che scuota sovra un alto stelo il calice profumato di un fiore. — Lilia!

Era un nome affatto sconosciuto, che non si ricongiungeva a nessuna reminiscenza nè di persone, nè di libri, un nome non udito mai, nuovo eppure non straniero, quale veste entro cui palpitasse un corpo lungamente vagheggiato.

Chi poteva mai essere?

Tornò a prendere in mano il foglio e lo rilesse attentamente, sembrandogli di notare nelle prime linee una intenzione di impersonalità che andava man mano scomparendo fino alla dichiarazione finale ed alla firma, sicura, slanciata, escludente il sotterfugio dell’anonimo. La spontanea accusa di indiscrezione ed il perdono richiesto indicavano una natura delicata, mentre la sicurezza dello stile non lasciava dubbio sulla educazione della scrivente.

Una donna, una fanciulla certamente; bel nome, molto entusiasmo, molta franchezza — così concludeva Ippolito ricacciando la lettera nella busta — ma chi sarà mai?

Le tre parole ferma in posta si potevano interpretare in diversi modi. La signorina non