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— Nulla. Il portalettere.

Rispose un grugnito di là dalla cucina e la lettera rimase sulla tavola nera. Quando ritornò la servetta coll’acqua, dopo di avere deposto la secchia, si accostò adagio e toccò la lettera con un dito; poi, sillabando lentamente l’indirizzo, disse:

— È per il signor Ippolito.

— Naturalmente. Per chi dovrebbe essere?

— Gliela porto?

— Ci mancherebbe altro! Sbuccia le patate e lesta! Finirà bene anche questo nolo.

Che cosa intendesse la donna con quella parola «nolo» applicata fuor di proposito sarebbe difficile dire; ma l’espressione di malumore che l’accompagnò la corredava di sufficiente spiegazione. Era una femminuccia sui cinquanta, scialba e raggrinzita nel suo abito di lana scura, con un largo grembiule dinanzi alla moda di provincia e due manichini di lana nera lavorati a punto di calza con un festoncino di perle d’acciaio ricadente sulle mani piccole e rugose.

— Rosalba! — chiamò, di là dalla cucina, la voce imperiosa.

— Un momento. Non si può servire insieme il papa e l’imperatore.

Che il paiolo rappresentasse il papa o che rappresentasse l’imperatore, la femminuccia vi prestava tutta la sua attenzione; e non era certamente di quelle che possono prodigarsi.