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Lilia chiuse rapidamente la finestra e scese le scale. Sul ballatoio incontrò Mansa che veniva a chiederle se voleva i lumi di sopra.

— No — rispose Lilia senza fermarsi, — e il signore?

— Il signore non mi ha neppure risposto quando glieli ho offerti. Dio benedetto! Suona in modo da far piangere.

Lilia penetrò con passo leggero nel salotto dove già si addensavano le ombre. Ippolito non la vide. Continuava a svolgere le note sul tema di un lamento dove sembravano rivivere a tratti le visioni felici del passato. Con un grido che potè appena frenare Lilia riconobbe lo spunto del Cantico dei Cantici: «O tu che l’anima mia ama!» e la musica ardente, appassionata, voluttuosa, descrisse con poche battute i misteri che si comunicano i nidi affondati nei boschi quando sorge su di essi l’aurora, gli amori soavi come il miele nei dolci orti chiusi dove le fonti mormorano sommessamente, dove ali invisibili frusciano tra gli alti steli e lente si aprono le rose nel mistero dei cespugli. La rievocazione era così nitida che Lilia credette ancora di udire le acclamazioni del pubblico, nella sala del Conservatorio, sorpreso e scosso dal vigore dell’ispirazione. Ma il ricordo, appena tòcco, scomparve sopraffatto da un torrente di note vertiginose in cui il motivo si allargava sorgendo alla