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scendolo lungo la strada fino a raggiungere le iperboliche proporzioni di una dichiarazione di amore!... Sì, era deciso a questo. Languiva, moriva, aveva bisogno di parlare, di dirle tutto! Ma giunto in quelle sale eleganti, sotto la luce delle lampadine elettriche sboccianti tra i fiori, di fronte alla siepe degli uomini vestiti di nero che lo guardavano d’alto in basso reprimendo per mera civiltà un sorriso ironico, tutto il suo coraggio sfumava. C’era l’oasi del balcone, è vero, ma anche là le ciarle vane, le risate importune, le apparizioni sulla soglia, il dubbio continuo di essere interrotto lo perseguitavano, avvelenandogli la preziosa brevità degli istanti concessi.

Una volta scrisse: scrisse che detestava la sua casa, la sua società, quelle visite misurate, quella gioia fuggevole, la lontananza, gli ostacoli, il mondo, tutto tutto ciò che si frapponeva tra loro due. Ma la lettera era riuscita troppo violenta; la stracciò, non fu capace di rifarla, e il giorno dopo le stette vicino muto, iroso, incomprensibile, quasi stupido, quasi villano: pazzo d’amore e di disperazione.

Lilia un po’ intendeva e un po’ s’arrabbiava. Abituata al dominio assoluto avrebbe preteso che anche Ippolito prendesse il suo numero nella schiera degli imploranti e si adattasse agli usi ed ai capricci che regolavano il piccolo regno.