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faceva riscontro una piccola libreria, un po’ tarlata, con qualche vetro rotto, e mobigliata a metà di libri vecchi, disposti in bell’ordine. Addossato al muro, per non impedire troppo il passaggio, un tavolaccio carico di carte scritte e stampate con un calamaio d’osso nero nel mezzo, due penne e gli occhiali dell’esattore. Sopra, il ritratto del re. Quattro sedie coperte di pelle scura completavano il mobiglio, oltre il seggiolone vecchio in forma di biga romana, dove il signor Caccia troneggiava, spesso burbanzoso, imponente sempre.

All’infuori dei contribuenti che venivano, nelle ore fisse, a pagare le loro tasse nelle mani dell’esattore — e che egli accoglieva colla superiorità di modi di un ministro — poche persone, e mai inutilmente, entravano nello studio. La signora Soave, al mattino, per mettere un po’ d’ordine, timidamente, usando precauzioni infinite, onde non smuovere nessuna carta, e non cambiare, neppure di un millimetro, il posto del calamaio. Teresina, alle quattro precise, schiudendo l’uscio solamente per metà, coi piedi fuori, dicendo: — È in tavola. — Carlino, quello due ore tutti i giorni, quando veniva a casa dal ginnasio, con tutti i suoi libri latini e le sue grammatiche.

Faceva i compiti sotto l’occhio severo del padre, obbligato ad una perfetta immobilità, faccia a faccia colla libreria, i volumi della quale egli conosceva tutti, pel cartone. Colla testa fra le mani, medi-