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Pensai un pezzo e seriamente a quel futuro fratellino: il mio carattere naturalmente invidioso me lo presentava talvolta come un rivale, ma poteva anche essere un compagno, un alleato. Divisai di stare sempre con lui e di lasciare soli il babbo colla sua Dora.

Nel mio concetto dell’amore c’era infallibilmente l’idea egoistica del possesso unico; la persona che dovevo amare la volevo tutta per me, senza divisioni, nè concessioni. Il babbo, l’idolo della mia infanzia, m’era stato infedele — io gli avrei dato un successore.

Con queste disposizioni, udii in una fredda sera d’inverno le grida di un bambino e la vecchia signora madre d’Aurora, che già da qualche giorno si era stabilita in casa nostra, venne a portare in sala sotto il lume della lucerna un cosino tutto rosso, letteralmente sepolto tra i merletti, che si disse essere mio fratello.

Allungai subito le braccia per portarlo via, gli avevo già trovato nella mia camera un posticino a modo; ma, con mia grande sorpresa e dolore, la vecchia signora spaventata lo sollevò in alto, quasi a sottrarlo dai miei poco delicati amplessi, e mi ammonì di stare zitta, di avvicinarmi con riguardo, solamente per guardarlo.