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208 la signora d’épinay


Saint-Lambert è culto?» — «Ne convengo.» — «Conosce la lingua.» — «A meraviglia.» — «Egli pensa?» — «Molto.» — «Sente?» — «Certo.» — «Possiede la tecnica del verso?» — «Come pochi.» — «È armonioso?» — «Sempre.» — «Che cosa gli manca dunque per essere poeta?» «L’anima.» E questo è un severo ammonimento per i poeti di tutti i tempi.

Ma se pure mancava al marchese di Saint-Lambert il suggello del genio, egli aveva tante corde al suo arco da non temere rivali, e nel suo amore per la d’Houdetôt diede prova di di costanza e di serietà. Anche lei, la folleggiante Mimì, gli si affezionò per il resto de’ suoi giorni che non furono nè pochi nè esenti da tentazioni. Un legame fedele, pur fuori del matrimonio, appariva nobile ai moralisti filosofi, era accettato dovunque, riconosciuto come un diritto, e la contessa d’Houdetôt, al pari delle sue coetanee, diceva e scriveva candidamente «mon amant» con una disinvoltura che noi non comprendiamo più e senza arrossire menomamente di sotto al leggiadro belletto. Nè l’amore doveva farle dimenticare