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Naturalmente anche in latino c’erano moltissimi sinonimi (janua e porta, equus e caballus, torus e lectus, amare e diligere, ecc.); e anche non pochi doppioni (volgus e vulgus, adjutare e adjuvare, bucca e os, minaciae e minae, putus e puer, maledicere aliquem e maledicere alicui, ecc.); e di questi doppioni alcuni saranno stati usati indifferentemente l’uno e l’altro da tutte le classi sociali, come oggi a Firenze ditale e anello, portantina e bussola, spartizione (de’ capelli) e divisa; altri invece saranno stati i preferiti, più o meno esclusivamente, dalle classi inferiori, al modo stesso che un popolano fiorentino dirà forse più volentieri dota e dolsuto, che dote e doluto e sempre poi doventare invece di diventare, mentre un fiorentino educato dice sempre dote e doluto, e ora doventare, ora diventare, secondo con chi e dove e di che parla. Rispetto poi ai sinonimi, come il popolano della moderna Roma chiama sempre porta anche l’uscio, così è probabile che il popolano della Roma antica dicesse porta anche quando doveva dir janua, e caballus anche quando doveva dire equus.

Or bene, siccome qualche centinaio di questi sinonimi o doppioni latini, che si credono i preferiti dalla plebe, sono i genitori legittimi dei corrispondenti vocaboli neolatini, giacchè noi Italiani, per esempio, non diciamo giana o gianva o jana da janua, ma porta da porta, non eguo o ieguo o ecquo, ecc. da equus, ma cavallo da caballus; perciò cavando da questo fatto una troppa larga conseguenza, si è detto e si dice che le lingue ro-