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450, l’italiano 140, lo spagnolo e il portoghese 50, e il valacco anche meno. Sicchè, in complesso, tra vive e morte, tra certe e incerte, sommano a un 930 le voci germaniche che il Diez trova nelle nuove lingue, esclusi i dialetti e senza contarci, già s’intende, nè i derivati, nè i nomi propri. E con queste voci divennero pure d’uso comune i suffissi aldo, ardo, lingo (ingo, engo), che si applicarono anche a voci latine (testardo, casalingo, Martinengo, ecc.); come, del resto, accadde anche de’ tre suffissi, derivati dal greco, essa, ismo, ista (leonessa, giudaismo, umanista, ecc.).

Le cifre del filologo tedesco devono essersi alquanto alterate con gli studi posteriori. Ma mettiamo pure che le voci germaniche, introdottesi nelle lingue romanze, siano più d’un migliaio: saranno sempre poca cosa in confronto di tutto il corpo di codeste lingue; e, nella loro pochezza, resteranno come un’eloquentissima testimonianza della inferiorità morale de’ conquistatori, i quali si lasciarono imporre la lingua dai vinti, anzichè imporre ad essi la propria.

Voci italiane, derivate direttamente, e non per mezzo del latino, dal greco, sono, per esempio: agognare, borsa, colla, falò, fase, golfo, magari, zio, ecc. (S’intende che non ci si devono comprendere que’ grecismi, spesso inutili, de’ letterati e degli scienziati, che vivono solo nell’uso di pochi.)

Portate dagli Arabi, sono le seguenti, e ci si sente, più che altro, l’industria e il commercio: alcool, alcova, algebra, ammiraglio, ambra, aran-