Pagina:Misteri di polizia - Niceforo, 1890.djvu/286


273


CAPITOLO XXXIII.

Giuseppe Giusti.

Quando F. D. Guerrazzi, in una nota al capitolo XX della Beatrice Cenci scrisse a proposito di Giuseppe Giusti le parole: „A vero dire anima ebbe più lo interrogato Bartolini (il Guerrazzi riportava la strofa: Lorenzo, o come fai ecc. della poesia: La terra dei Morti) che lo interrogatore Giusti. Questi con braccia di Sansone scosse il luttuoso edificio della odierna società, e poi ebbe paura dei calcinacci che cascavano„ — a molti parve che dettando siffatte parole lo scrittore livornese s’ispirasse più ad uno spirito di partigianeria politica che ad un sentimento di giustizia. Come si sa, il Guerrazzi, la sua prosa qualche volta scultoria, quasi sempre acre, l’adoperava come ferro arroventato per bollare in fronte coloro che non la pensavano a modo suo, specie i moderati toscani, che egli non sapeva, nè voleva distinguere dai più brutti strumenti della servitù a base di papaveri di casa Lorena. Ma coloro che conobbero intimamente il Giusti, o poterono con serenità di giudizio mettere in confronto la sua vita di cittadino co’ suoi versi, quelle parole non istimarono soverchiamente dure: e il Carducci, di recente, non manifestò sul grande satirico toscano un giudizio diverso di quello del Guerrazzi, benchè non avesse come quest’ultimo a rimproverare ai moderati del suo paese nè la prigionia, nè l’esilio. Disgraziatamente, per la fama del Giusti, il giudizio pronunziato su di lui dal Guerrazzi non solo non era improntato ad una eccessiva severità, ma era diremmo quasi mite. Come proveremo cogli atti dell’Archivio Segreto, il Giusti non aspettò nemmeno che i calcinacci dell’edificio da lui scosso con braccia di Sansone gli cadessero intorno, perchè rinnegasse la sua opera demolitrice e con

18