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CAPITOLO II.

I Capi della Polizia.

In Toscana i funzionari, anche gli altissimi, non si mutavano ad ogni mutamento di stagione. Nei posti ci si invecchiava. Il Real Padrone (in tal modo si chiamava il Capo supremo dello Stato nel linguaggio cortigiano e burocratico d’allora) non amava di veder cambiare le faccie dei suoi servitori come le combinazioni dei colori in un caleidoscopio. Il conte Vittorio Fossombroni assunse le funzioni di Segretario di Stato nel 1814, nè le lasciò che colla sua morte, che avvenne nel 1844. Don Neri Corsini, entrato nei consigli della Corona nel 1814, vi rimase tutto il resto della sua vita, cioè per oltre trent’anni, succedendo allo stesso Fossombroni nell’ufficio di Segretario di Stato. I ministri, entrati che fossero nei loro dicasteri, vi si eternavano, e come i servitori delle grandi case, non abbandonavano i loro posti che per causa di morte o di vecchiaia.

Nè pei ministri della Polizia accadeva diversamente. Difatti la Polizia, pel corso di trentaquattro anni, cioè per tutto il tempo in cui essa funzionò sotto il nome di Presidenza del Buon Governo, ove se ne eccettui la brevissima permanenza alla testa di quell’amministrazione del Bonci, non fu retta che da tre uomini: Aurelio Puccini, Torello Ciantelli e Giovanni Bologna.

Il Puccini, al 1814, quando era di moda il dare addosso ai sistemi francesi e il risuscitare i vecchi, fu l’esumatore della Presidenza del Buon Governo, la quale, istituita nel 1781, eclissatasi nel 1799, durante le due brevi occupazioni francesi, era stata sepolta nel 1805. Nella sua gioventù il Puccini era stato un caldo giacobino, e con grave scandalo delle teste quadre del tempo aveva dapprima