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Non aveva, gli è vero, nè il pranzo, nè la numerosa riunione; ma ci aveva per contro, la riunione di famiglia, la riunione intima, coll’indispensabile thè delle riunioni familiari della gente del Nord. Mancavano i brindisi, e questa era una lacuna da non potere essere colmata facilmente; ma alla fantasia d’un poliziotto di manica larga, con un po’ di sforzo, non avrebbe fatto difetto qualche ripiego per trovarla con più meno artificio; al postutto, l’avrebbe potuto anche inventare di sana pianta coll’interessata compiacenza d’un confidente bugiardo. Si trattava, alla fin fine, di servire la buona causa; di rendere un servizio a quel buon Niccolò di Russia che mandava in Siberia o in esilio i polacchi che non poteva impiccare, e un po’ di inventiva, come si sa, entra sempre nel mestiere del poliziotto: lo che, s’intende, sarebbe stato più che sufficiente per far dare lo sfratto al conte Moltke dalla Toscana, specie che allora il dotto uffiziale prussiano non s’era guadagnata la riputazione di saper tacere in sette lingue.

Ma il nostro poliziotto non era seguace della scuola del conte Riccini di Modena e del marchese Del Carretto di Napoli; era, all’incontro, un discepolo della scuola semplice, casalinga, nemica del rumore e dei colori foschi, che allora imperava sulle sponde dell’Arno; — e il conte Moltke, malgrado la sua partecipazione ad una riunione intima presso una famiglia di rivoluzionari, fu lasciato tranquillo.