Pagina:Mirandola - Descrizione dell'isola della Mirandola.pdf/26

26

Vien lor di trapassarle ignudi a nuoto
L’han che far con le siepi irte di spini.
Altrove poi lunghesso un rigoletto,
Chiuso da verdi e morbidose piote,
Sorge densa di salici falange.
È qui che lasso dalle gravi cure,
E da miei studi, volontieri io scendo.
Piacesi l’occhio in rimirar le frondi
E i fior renidendi su le piante
Su cui la snella passeretta gracchia.
Da ogni cespo olezzante alle papille
Vien grato un senso, ed ogni cosa ha vita,
Il portico, la terra, i fiori e l’aura.
Mille dolci fantasmi all’alma stanca
Si affacciano, ed in quelli entro si tuffa
La meschinella che di lor si pasce.
Ma poi che quell’aspetto di campagna,
Girando gli occhi, scacciami dal core
Le incresciose memorie di mia vita,
Una quïete placida sottentra.
Allor mi giova sollevar gli sguardi
Ai tanti doni onde il supremo nume
Ricolma gli indegnissimi mortali.
Uno sdegno m’incita a detestare
Le tante colpe de l’ingrata mente,
Il malo istinto delle umane genti.
E all’Eden primo col pensier men volo
Pien di delizie, se del divo Padre
Ai detti obbedïente il genitore
Primiero degli umani, di una donna
Ai vezzi fatto non si fosse schiavo.
Ligio a le frodi della mala striscia,