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e dichiarare, in cospetto del pubblico, ai direttori ciò che voleva fare e ciò che non voleva fare.

255.° Stando a quel dispettoso lamento del sullodato dottore, si direbbe, che non sono gli ingegneri quelli che debbono dissertare sulla maggiore o minore opportunità di una linea per una strada di ferro, ma bensì i giornalisti del saper suo, che parlano delle opere degli ingegneri senza intenderle, che ne parlano per empir fogli, e copiando quello che hanno prima detto e stampato gli ingegneri.

Eppure sono gli ingegneri che studiano per tutto le linee, che per tutto scelgono le linee e dissertano sulle linee. I giornali ne parlan dopo, raccogliendo e pubblicando quel che fu fatto, quel che fu detto; e se sono giornalisti, come i più lo sono, di mente, di studio, di coscienza, tentano di avviare al bene ed all’utile l’opinione pubblica; nè mai poi hanno la sciocca pretesa di credersi possessori di un brevetto di privativa per le dissertazioni sulle strade di ferro.

Nel mio caso particolare poi confesso che non so vedere chi potesse aver più diritto di me di dissertare sulla linea di Bergamo e sulla diramazione di Treviglio se io era l’ingegnere in capo dell’impresa; se le parole e le stampe altrui erano contro di me e contro la linea mia; se io era stato il primo a parlare della diramazione da Treviglio a Bergamo; se io aveva studiato i fatti ed il terreno sul luogo con amore della cosa, e non nell’ozio di un gabinetto colla smania di dir male di tutto.

256.° E se debbo starmene al giudizio del dottore Cattaneo, mi par anche di non aver dissertato tanto male, se egli ha poi ripetuto dopo di me, nelle sue dissertazioni, nel giornale di Statistica e nella Rivista (vedi nota al paragrafo 82) quello che io aveva detto prima di lui nella conferenza coi signori Bergamaschi la sera del 28 novembre 1837, e nella mia Memoria a stampa intitolata: Qual linea, ec.

257.° Chi dichiara in cospetto del pubblico, sinceramente, quello che vuol fare e non fare, e fa poi quello che ha dichiarato, esercita, intanto, un diritto suo, poi dà prova di onestà e di franchezza, perchè chiama sulla propria condotta il giudizio del pubblico.

Io poi poteva dire alla Direzione ciò che non voleva fare per altre due buone ragioni:

perchè quello che non voleva fare, e che pur volevasi che io facessi, mi sembrava, e mi sembra ancora, utile ad alcuni pochi, dannoso al pubblico e rovinoso alla società lombardo-veneta, quindi indegno di me, quindi tale che non l’avrei fatto a nessun costo, per nessun rischio;

poi, perchè quello che non voleva fare, aveva il diritto di non farlo per le promesse fattemi, pel mio contratto.

Se il dottore Cattaneo non la intese, e non la intende per questo verso, tanto peggio per lui. Io non ne maraviglio punto. E a quelli poi che mi accusano di ostinazione, di orgoglio, di ambizione, di comando, e che so io, risponderò ora e per sempre, che sarebbe impossibile agli uomini onesti il tenersi nella vita sul retto sentiero, se avessero la debolezza di lasciarsi svolgere da simili vociferazioni: perchè la è un’arte tanto vecchia, quanto è vecchia la malignità umana, quella di disonestare le intenzioni quando si è astretti a confessare, contro voglia, l’onestà dei fatti.

258.° Mi fu offerto in iscritto due volte, e da me fu accettato due volte in iscritto; indi mi fu garantito coi preliminari del contratto, e col contratto

l’incarico di creare una strada di ferro da Venezia a Milano, di tutta e non di una parte, e sicuro del tutto sopra una linea da me scelta, sopra un progetto da me esteso, prima immaginando e compilando il progetto, poscia avendone la suprema direzione del-