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atto terzo 107


poco lontan mel figurasti. Io teco

giá lung’ora m’aggiro
per sí strani sentieri, e ancor nol miro.
Zopiro. Pur l’hai presente.
Zenobia.   Io l’ho presente? Oh Dio!
Come? dove?
Zopiro.   Lo sposo tuo son io.
Zenobia. Numi! (sorpresa)
Radamisto.   (Ah, mora il fellon!... (vuol snudar
la spada e si pente)
No; pria bisogna
tutta scoprir la frode.)
Zenobia. E tu di Radamisto alla consorte
osi parlar cosí?
Zopiro.   Di Radamisto
alla vedova io parlo.
Zenobia.   Aimè! non vive
dunque il mio sposo?
Zopiro.   Ad incontrar la morte
giá l’inviai.
Radamisto.   (Fremo!)
Zenobia.   Ah, spergiuro! Adempi
cosí le tue promesse?
Zopiro.   E in che mancai?
Zenobia. In che! Non mi dicesti
che per legge sovrana o Radamisto
perir doveva o Tiridate?
Zopiro.   Il dissi.
Zenobia. Che un sol di loro a scelta mia potevi,
e m’offrivi salvar?
Zopiro.   Sí.
Zenobia.   Non ti chiesi
del consorte la vita?
Zopiro.   È vero; ed io
d’ubbidirti giurai,
e uno sposo in Zopiro a te serbai.
Radamisto. (Piú non so trattenermi.)