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intermezzi | 67 |
ed è miracolosa
nel divorar biscrome a cento a cento.
Dorina. Dal suo parlar comprendo
che di musica è intesa.
Nibbio. Io me n’intendo,
però quanto è bastante
per picciol ornamento a un dilettante.
Dorina. Dunque non è dovere
ch’io non abbia a godere il gran vantaggio
di sentirla cantare.
Nibbio. Io l’ubbidisco e non mi fo pregare.
(cava da saccoccia una cantata)
Dorina. Sará la sua cantata
di qualche illustre autore?
Nibbio. Son d’un suo servitore
e musica e parole.
Dorina. È ancor poeta?
Nibbio. Anzi questo è il mio forte.
Ho una vena terribile,
tanto che al mio paese
feci quindici drammi in men d’un mese.
Dorina. Bella felicitá! Via! favorisca.
Nibbio. Non è mia professione, e compatisca.
(va alla spinetta a cantare)
«Lilla, tiranna amata,
salamandra infocata,
all’Etna de’ tuoi lumi arder vorrei»...
Noti, questa è per lei.
Dorina. Grazie le rendo.
(Che testa originale! Io non l’intendo.)
Nibbio. ...«Fingi meco rigore
sol per prenderti spasso;
so c’hai tenero il core,
bell’ostreca d’amore, e sembri un sasso».
Che ne dice?
Dorina. È un portento.