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atto primo 321


fu il mio primo spavento. Incontro a lui
lusinghiera m’offersi, onde con l’armi
non passasse a’ tuoi regni. Ad onta mia,
seco pugnasti. A te, giá vinto, asilo
fu questa reggia; e non è tutto. In campo
la seconda fortuna
vuoi ritentar: l’armi io ti porgo, e perdo
l’amistá d’Alessandro,
di mie lusinghe il frutto,
de’ miei sudditi il sangue, il regno mio;
e non ti basta? e non mi credi?
Poro. (commosso) (Oh Dio!)
Cleofide. Tollerar piú non posso
cosí barbari oltraggi.
Fuggirò questo cielo; andrò raminga
per balze e per foreste
spaventose allo sguardo, ignote al sole,
mendicando una morte. I miei tormenti,
le tue furie una volta
finiranno cosí. (in atto di partire disperata)
Poro. Férmati! Ascolta.
Cleofide. Che dir mi puoi?
Poro. Che a gran ragion t’offende
il geloso amor mio.
Cleofide. Questo è un amore
peggior dell’odio.
Poro. Io ti prometto, o cara,
che mai piú di tua fede
dubitar non saprò.
Cleofide. Queste promesse
mille volte facesti, e mille volte
tornasti a vacillar.
Poro. Se mai di nuovo
io ti credo infedel, per mio tormento
altra fiamma t’accenda,
e vera in te l’infedeltá si renda.