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244 iv - ezio


Valentiniano. Fulvia io vorrei
amante piú, men rispettosa.
Massimo. È vano
temer ch’ella non ami
que’ pregi in te che l’universo ammira.
(Il mio rispetto alla vendetta aspira.)
Varo. Ezio s’avanza. Io giá le prime insegne
veggo appressarsi.
Valentiniano. Il vincitor s’ascolti;
e sia Massimo a parte
de’ doni che mi fa la sorte amica.
(Valentiniano va sul trono, servito da Varo)
Massimo. (Io però non obblio l’ingiuria antica.)

SCENA II

Ezio, preceduto da istromenti bellici, schiavi ed insegne de’ vinti, seguito da’ soldati vincitori e popolo, e detti.

Ezio. Signor, vincemmo. Ai gelidi trioni
il terror de’ mortali
fuggitivo ritorna. Il primo io sono,
che mirasse finora
Attila impallidir. Non vide il sole
piú numerosa strage. A tante morti
era angusto il terreno. Il sangue corse
in torbidi torrenti;
le minacce, i lamenti
s’udian confusi; e fra i timori e l’ire
erravano indistinti
i forti, i vili, i vincitori, i vinti.
Né gran tempo dubbiosa
la vittoria ondeggiò. Teme, dispera,
fugge il tiranno e cede
di tante ingiuste prede,