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6 i - didone abbandonata


Enea. Osmida, a questi lumi
non porta il sonno mai suo dolce obblio,
che il rigido sembiante
del genitor non mi dipinga innante.
— Figlio — ei dice, e l’ascolto, — ingrato figlio,
questo è d’Italia il regno
che acquistar ti commise Apollo ed io?
L’Asia infelice aspetta
che in un altro terreno,
opra del tuo valor, Troia rinasca.
Tu il promettesti; io nel momento estremo
del viver mio la tua promessa intesi,
allor che ti piegasti
a baciar questa destra e mel giurasti.
E tu frattanto, ingrato
alla patria, a te stesso, al genitore,
qui nell’ozio ti perdi e nell’amore?
Sorgi: de’ legni tuoi
tronca il canape reo, sciogli le sarte. —
Mi guarda poi con torvo ciglio e parte.
Selene. Gelo d’orror! (dal fondo della scena comparisce Didone con séguito).
Osmida. (Quasi felice io sono.
Se parte Enea, manca un rivale al trono.)
Selene. Se abbandoni il tuo bene,
morrá Didone (e non vivrá Selene.)
Osmida. La regina s’appressa.
Enea. (Che mai dirò?)
Selene. (Non posso
scoprire il mio tormento.)
Enea. (Difenditi, mio core: ecco il cimento.)