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passate, che me ne fecero il più esatto e genuino racconto, persone fornite d’integrità e di ogni buona fede, in specie la b. m. dell’Arcipr Don Giuseppe Berti che passò al numero dei più nell’anno 1812 in età di anni 80. circa uomo pieno di meriti e di una esemplarità veramente ecclesiastica. Questi ed altre persone furono al tempo in cui si rinvennero le dette memorie, il perchè non temo che debbano incontrare anche la minima opposizione. Circa ottanta o novanta anni sono mentre una donna era andata sulla spiaggia di questo lago in contrada li Tufi per vedere se nella fiera burrasca della notte antecedente avesse il lago gettato sulla spiaggia qualche grosso pesce, come è solito accadere in tali maree, e divertendosi intanto a far delle osservazioni più minute sulla rena, giacchè vedeasi delusa nella espettativa di trovar pesce le riuscì rinvenire una Scrofetta d’oro massiccio della grandezza poco più d’un pollice in atto di allattar i suoi figli. Fu la sciocca e mal accorta donna consigliata a portarla in Roma al Sig. Avvocato Penacchi vice-Principe allora di Trevignano, perchè l’avrebbe esitata con più riputazione, ed avrebbe fatto un migliore interesse. Così appunto ella fece, ma non corrispose però al pregio di quella rarità il prezzo, che le venne sborsato, giacchè il detto Sig. Avvocato giovandosi della ignoranza di lei ritenne la Scrofetta per pochi paoli. Un altra volta parimente essendo andata la suddetta donna così ben favorita dalla fortuna in quel luogo medesimo, ma alquanto più lungi colla fiducia di rinvenire qualche altra cosa preziosa, giacchè erasi pur fatta sentire nella notte precedente una burrasca non dissimile all’altre, mentre si occupava a scavare con un zappetto la rena ammonticchiata sulla spiaggia, ebbe del pari la sorte non però da lei per la seconda volta ancor conosciuta, di rinvenire due statuette di porfido unite assieme, una cioè che teneva gettato sulla spalla un piccolo panno a guisa di salvietta, e l’altra tenea parimente sulle mani un piatto in forma di vassʊjo rappresentante forse Ganimede che serviva Giove alla mensa. Tale rarità credè pure portarla in Roma e guidata dal proprio capriccio, sebbene fosse consigliata da probe persone a non farlo, e di attendere piuttosto l’opportunità di una guida fedele per non essere ingannata di nuovo, l’esitò per poco prezzo a persona che seppe conoscere la dabbenaggine di lei, ma che l’avrà certamente rivenduta a quel prezzo che ben meritava. Finalmente non più lungi dalla mola ad olio che cento passi circa, ed in poca distanza dal luogo in cui si rinvennero le suddette rarità, nell’atto che alcuni pescatori tiravano a terra la rete credettero dallo stento con cui veniva, essere nel codero una qualche grossa radice scavata dal fondo del lago non molto profondo in quel sito, ma quando fu tirata sulla spiaggia si avvidero essere un Capo Fuoco di