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una specie di casa fatta nel sasso. Qui visse lungo tempo Aleramo colla sua cara consorte, come in luogo di sicurezza. Vi si mise a far carbone portandolo a vendere in Albenga a molte persone, ma specialmente al cuoco del Vescovo di questa Citta, con cui contrasse amicizia. Generarono così molti figliuoli pel corso di molti anni, e gli allevarono colà con gran timore, sempre paventando l’ira di Cesare nel caso che avesse avuto sentore che essi in quel luogo nascosti si tenevano.

Tornando a Fra Giacomo, continua la sua cronaca con dire che si riaccese guerra tra l’imperatore ed i Bresciani; che calato di nuovo Ottone in Italia chiese aiuto dai suoi alleati fra i quali si trovava il Vescovo di Albenga.

Il cuoco di questo Vescovo inteso con Aleramo risolse di andar anch’esso a combattere. Si fabbricò una bandiera, in cui erano dipinti istrumenti di cucina in campo bianco.

Ottone primogenito di Aleramo fu preso dal Vescovo per suo scudiere. Si distinse Aleramo e suoi compagni sotto le mura di Brescia, rinfrancò la fortuna vacillante dell’Imperatore, fece prodigi di valore e si attirò l’ammirazione dell’Imperatore medesimo e de’ suoi guerrieri. Volle Ottone saperne il nome. Il Vescovo d’Albenga sentite da Aleramo le strane vicende che lo allontanarono dalla corte imperiale tutto confidò all’Imperatore, e fatta venire da Garessio Adelasia, coi tre figli che si era colà ritenuti, fu presentata alla corte. Ottone pianse di consolazione, dimenticò il passato, si fecero grandi feste e colmò d’onori Aleramo, Adelasia ed i suoi quattro figli, per nome Ottone, Bonifacio, Guglielmo e Tete.

Lasciando ora Fra Giacomo d’Acqui, e la pietra Ardena, portiamoci in Ferrania, dove un elegante moderno scrittore fissò il nascondiglio dei fuggitivi Aleramo ed Adelasia, e la loro riconciliazione colà coll’Imperatore.