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cessariamente rimanere per un tempo assai lungo entro la Camera oscura: talchè succedendo in questo intervallo un trasporto notabile delle ombre e dei lumi, le copie non possono acquistare quella nitidezza che si ottiene col Dagherrotipo, ove l’esposizione della lamina all’immagine non dura che pochi minuti: difatto i contorni di questi disegni, prodotti per l’azione della Camera oscura, sono alquanto incerti e confusi. Le copie delle stampe fatte per sovrapposizione ed esposizione ai raggi solari riescono assai meglio.

È poi quasi superfluo il soggiugnere che anche il processo del fisico inglese non vale pei quadri ad olio e per gli oggetti dipinti con vivi e svariati colori.

Ma sebbene, al presente, il campo delle applicazioni fotografiche sia circoscritto entro certi limiti, la sua fertilità è però tale, da fornire ottimi ed abbondanti raccolti a chiunque imprenderà a coltivarlo con intelligenza, ed amore.

Primieramente, le statue, i bassirilievi, i palazzi, le chiese, ed ogni sorta di monumenti antichi e moderni, si possono ritrarre per opera del Dagherrotipo con tanta perfezione e prontezza da render impotente e vano al confronto, il concorso dell’arte. Arago osserva giustamente, che se l’invenzione di questo mirabile apparecchio avesse preceduto di quarantadue anni l’epoca presente, mentre Napoleone sbarcava in Egitto con numerosi corpi di scienziati ed artisti, si possederebbero oggidì le immagini fedelissime di molti emblemi ed oggetti di antichità che la cupidigia degli Arabi, ed il vandalismo di certi viaggiatori tolsero per sempre alla contemplazione dei dotti. «Parecchi lustri ed intere legioni di disegnatori, dic’egli, sarebbero necessari per copiare le miliaja e millioni di geroglifici che