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battimento, facendo sforzi disperati di valore, permise che la ritirata avvenisse per qualche chilometro ancora in buon ordine. Ma verso le 12 1/2 anche quest’ultimo conato della gran lotta doveva cessare: il bel reggimento già sopraffatto e mezzo distrutto, e privato dell’eroico suo comandante, venne anch’esso travolto.

Allora l’aggiramento fatto completo, essendo preclusa ogni altra via di ritirata, costringeva i laceri avanzi delle due brigate ad aprirsi un varco verso nord-est, e ad internarsi lungo il triste vallone di Jehà dove aspettate al varco ne succedeva un efferato macello, e donde dopo infiniti stenti e perigli e tra continue lotte, agguati e rappresaglie di nemici e d’insorti e mille episodi strazianti di valore, di cameratismo, d’affetto e di pietà, ben pochi potevano riparare entro i vecchi confini della Colonia, dirigendosi a Adi Caiè, ad Asmara, o ad Adi Ugrì.

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Intanto che la brigata indigeni e quelle centrali combattevano eroicamente e poscia soccombevano schiacciate dall’enorme preponderanza scioana, isolata sull’estrema destra la brigata Da Bormida sosteneva una lotta brillante contro poderose forze nemiche.

Si è già detto che questa brigata verso le ore 7 si era avanzata oltre il Rebbi Arienni collo scopo di appoggiare quella di Albertone, e che dopo circa due ore di marcia, attratta dal terreno e dallo svolto della via era pene-