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senza prender respiro al villaggio, Melmoth ebbe tutto il campo di fare le sue riflessioni; la serata d’altronde era propizia per meditare. Il tempo era frigido ed oscuro; folte e dense nubi annunziavano che la pioggia che aveva incominciato a cadere, non avrebbe cessato così presto. Melmoth appoggiato alla conquassata finestra, che ogni colpo di vento faceva muovere, non iscorgeva al di fuori che la più malinconica prospettiva, come quella che poteva presentare il giardino di un avaro. Le muraglie cadevano in rovina, i viali erano ricoperti di erba, le piante spogliate ed inselvatichite, le spine e le ortiche rimpiazzavano per ogni dove i fiori del parterre; al guardo si sarebbe preso per la verdura di un cimitero, pel giardino della morte. Se egli abbandonava la finestra per girare lo sguardo intorno alla camera, essa non porgeva un aspetto più consolante. L’intavolato era divenuto nero dal suidiciume e tutto pieno di fessure, i ferri del focolare ricoperti di ruggine, sulle seggiole non