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trine. Sono i dolci con loro forme brevi, leggiadre, aggraziate, che sembrano fiori, frutta, cuori, farfalle; coi loro colori delicati, molli; il cristallino-roseo, il verde-opalino, il bianco-grigio, il violetto pallido, che si fondono, si armonizzano in una tavolozza di tinte sfumate e gradevoli all’occhio. Sono le spume morbide e fioccose che pare si debbano dileguare ad un soffio; le creme tremule, candide, giallette; i frutti gelati, coperti di una trasparente pellicola argentina, le lucide cascate dei canditi; le gravi pesantezze dei mandorlati, il bruno cioccolato sotto tutte le forme e tutti gli aspetti; le paste leggiere, sgranate, che si liquefano sotto il dente; i datteri imbottiti di pistacchio, unione nobilissima come quella del latte col miele. Insomma la riunione di quanto vi è di più gentile, di più fine, di più elegante; le carezze della vista, del gusto e dell’odorato; il raffinato e lo squisito nella più completa loro manifestazione; il punto culminante di ogni più strano desiderio, la poesia più alta e più pura delle sensazioni, la fantasia diventata vita, l’ideale artistico realizzato, il summum dell’arte.

È in questo sublime volo lirico, che finisce lo splendido inno dedicato dai napoletani alla decima musa: Gasterea.