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Dall’uscio spalancato a due battenti entrarono poco dopo don Giuseppe e mastro Titta, il barbiere di casa, carichi di due gran vassoi d’argento che sgocciolavano; e cominciarono a fare il giro degli invitati, passo passo, come la processione anch’essi. Prima l’arciprete, donna Giuseppina Alòsi, la Capitana, gli invitati di maggior riguardo. Il canonico Lupi diede una gomitata al barbiere, il quale passava dinanzi a mastro— don Gesualdo senza fermarsi. — Che so io?... Se ne vedono di nuove adesso!... — brontolò mastro Titta. Il ragazzo dei Margarone ficcava le dita dappertutto.

— Zio?...

— Grazie, cara Bianca.... Ci ho la tosse.... Sono invalido... come tuo fratello....

— Donna Bellonia, lì, sul balcone! — suggerì la zia Sganci, la quale si sbracciava anche lei a servire gli invitati.

Dopo il primo movimento generale, un manovrar di seggiole per schivare la pioggia di sciroppo, erano seguiti alcuni istanti di raccoglimento, un acciottolìo discreto di piattelli, un lavorar guardingo e tacito di cucchiai, come fosse una cerimonia solenne. Donna Mita Margarone, ghiotta, senza levare il naso dal piatto. Barabba e mastro Titta in disparte, posati i vassoi, si asciugavano il sudore coi fazzoletti di cotone.