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scoprendo la cugina Bianca rincantucciata in fondo al balcone del vicoletto, smorta in viso, si turbò, smarrì un istante il suo bel colorito fiorente, e rispose balbettando:

— Sissignora... infatti... sono della commissione...

— Bravo! bravo! Bella festa davvero! Avete saputo far le cose bene!... E vostra madre, don Ninì?...

— Presto! presto! — chiamò dal balcone la zia Sganci. — Ecco qui il santo!

Il marchese Limòli, che temeva l’umidità della sera, aveva afferrato la mamma Margarone pel suo vestito di raso verde e faceva il libertino: — Non c’è furia, non c’è furia! Il santo torna ogni anno. Venite qua, donna Bellonia. Lasciamo il posto ai giovani, noi che ne abbiamo viste tante delle feste!

E continuava a biasciarle delle barzellette salate nell’orecchio che sembrava arrossire dalla vergogna; divertendosi alla faccia seria che faceva don Filippo sul cravattone di raso; mentre la signora Capitana, per far vedere che sapeva stare in conversazione, rideva come una matta, chinandosi in avanti ogni momento, riparandosi col ventaglio per nascondere i denti bianchi, il seno bianco, tutte quelle belle cose di cui studiava l’effetto colla coda dell’occhio, mentre fingeva d’andare in collera allorchè il marchese si pigliava qualche libertà soverchia — adesso che erano soli — diceva lui col suo risolino sdentato di satiro.