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— No, no, non vi scomodate, caro voi.... Sentite piuttosto, cugina Macrì....

— Signora! signora! — vociò in quel momento don Giuseppe Barabba, facendo dei segni alla padrona.

— No, — rispose lei, — prima deve passare la processione.

Il marchese Limòli la colse a volo mentre s’allontanava, fermandola pel vestito: — Cugina, cugina, levatemi una curiosità: cosa state almanaccando con mastro-don Gesualdo?

— Me l’aspettavo... cattiva lingua!... — borbottò la Sganci; e lo piantò lì, senza dargli retta, che se la rideva fra le gengive nude, sprofondato nel seggiolone, come una mummia maliziosa.

Entrava in quel punto il notaro Neri, piccolo, calvo, rotondo, una vera trottola, col ventre petulante, la risata chiassosa, la parlantina che scappava stridendo a guisa di una carrucola. — Donna Mariannina!... Signori miei!... Quanta gente!... Quante bellezze!... — Poi, scoperto anche mastro-don Gesualdo in pompa magna, finse di chinarsi per vederci meglio, come avesse le traveggole, inarcando le ciglia, colla mano sugli occhi; si fece il segno della croce e scappò in furia verso il balcone grande, cacciandosi a gomitate nella folla, borbottando:

— Questa è più bella di tutte!... Com’è vero Dio!