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sua morte, ahimè, povera roba! Chi sapeva quel che era costata? Il signor duca, lui, quando usciva di casa, a testa alta, col sigaro in bocca e il pomo del bastoncino nella tasca del pastrano, fermavasi appena a dare un’occhiata ai suoi cavalli, ossequiato come il Santissimo Sagramento, le finestre si chiudevano in fretta, ciascuno correva al suo posto, tutti a capo scoperto, il guardaportone col berretto gallonato in mano, ritto dinanzi alla sua vetrina, gli stallieri immobili accanto alla groppa delle loro bestie, colla striglia appoggiata all’anca, il cocchiere maggiore, un signorone, piegato in due a passare la rivista e prendere gli ordini: una commedia che durava cinque minuti. Dopo, appena lui voltava le spalle, ricominciava il chiasso e la baraonda, dalle finestre, dalle arcate del portico che metteva alle scuderie, dalla cucina che fumava e fiammeggiava sotto il tetto, piena di sguatteri vestiti di bianco, quasi il palazzo fosse abbandonato in mano a un’orda famelica, pagata apposta per scialarsela sino al tocco della campana che annunziava qualche visita - un’altra solennità anche quella. - La duchessa certi giorni si metteva in pompa magna ad aspettare le visite come un’anima di purgatorio. Arrivava di tanto in tanto una carrozza fiammante; passava come un lampo dinanzi al portinaio, che aveva appena il tempo di cacciare la pipa nella falda del soprabito e di appendersi alla campana; delle dame e degli staf-